Migliore efficienza e controllo della spesa o strumento per aumentare le disuguaglianze tra regioni più ricche e meno ricche? Vediamo quali cambiamenti potrebbe portare l’autonomia differenziata

In cosa consiste l’autonomia differenziata progettata dal ministro Calderoli
Il governo Meloni sta valutando il disegno di legge sull’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario, presentato dal leghista Roberto Calderoli. Una proposta molto contestata perché potrebbe aumentare il divario tra Nord e Sud
Cos’è l’autonomia differenziata?
L’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.
Questa autonomia, concessa dall’articolo 116 della Costituzione, non è mai stata attuata soprattutto a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra regioni, che rendono particolarmente delicata, e potenzialmente dannosa, l’approvazione di leggi in questo senso. Ed è per questo che, secondo studiosi e opposizione, il disegno di legge di Calderoli potrebbe avere conseguenze disastrose sull’intero paese, andando ad aumentare le disuguaglianze tra regioni del Nord e del Sud.
Chi ha votato a favore del disegno di legge di Calderoli?
Prima di analizzare i punti critici su cui potrebbe intervenire la riforma, è interessante notare la provenienza regionale dei ministri e delle ministre che hanno approvato il disegno di legge. Di queste 25 persone, inclusa la presidente del Consiglio, solo 5 provengono dal Sud o dalle isole, di cui due dalla Campania, una dalla Puglia, una dalla Sicilia e una dalla Sardegna. Altre 5 vengono dal centro, ma precisamente da Roma e una da Tivoli, sempre comune di Roma. E 15 dal Nord, in particolare da Piemonte, Lombardia, Veneto, una dalla Liguria, due dall’Emilia Romagna e una dal Friuli Venezia Giulia.
Questa divisione si riflette in parte anche nella mappa dei presidenti regionali che si sono schierati a favore o contro della proposta di Calderoli. Chi viene dal Nord, come il lombardo Attilio Fontana, il veneto Luca Zaia e il ligure Giovanni Toti sono chiaramente a favore. Mentre il campano Vincenzo de Luca e il pugliese Michele Emiliano, assieme all’emiliano Stefano Bonaccini, hanno alzato le barricate contro il disegno di legge.
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Pro e contro
In generale, si tratta di una presa di posizione di carattere economico. Chi è a favore dell’autonomia differenziata, sostiene che trattenere la gran parte del gettito fiscale si traduca automaticamente in una maggiore efficienza nella fornitura di servizi per i propri cittadini. Come ha detto sulla Stampa Alberto Cirio, presidente del Piemonte, l’autonomia avvicinerebbe “i centri di spesa”.
“È la storia che dimostra che più stretto è il rapporto tra chi spende e i beneficiari, più la spesa è efficace e ci sono meno sprechi. È una questione di conoscenza del territorio e anche di controllo che i cittadini possono esercitare sulla politica”, ha spiegato Cirio, andando a sottintendere che efficienza e sprechi derivino dalla disponibilità economica e non dalle scelte politiche. Inoltre, secondo Cirio, sarebbe l’unico modo per superare il “criterio della spesa storica” e passare a quello “della spesa standard. Finora lo Stato pagava i servizi forniti agli enti locali in base a quanto era stato speso negli anni precedenti, così chi spendeva di più aveva di più. Ora ci sarà uno standard nei costi dei servizi”.
Tuttavia, prima di poter superare la spesa storica andrebbe stabilita la spesa dei Livelli essenziali di prestazione che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Cosa che nei venti anni trascorsi dall’approvazione della riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia, non è ancora stata fatta.
I contrari invece, sostengono come l’autonomia differenziata comporti necessariamente una sottrazione di ingenti risorse alla collettività nazionale e la disarticolazione di servizi e infrastrutture logistiche (come i trasporti, la distribuzione dell’energia, la sanità o l’istruzione), che per il loro ruolo nel funzionamento del sistema paese dovrebbero avere necessariamente una struttura unitaria e a dimensione nazionale.
Inoltre, molti spiegano che anche le regioni autonome sarebbero svantaggiate dal progetto. Da un lato perché il Sud è un mercato essenziale per il Nord, dall’altro, perché le ampie differenze interne alle stesse regioni verrebbero aumentate dall’allocazione delle risorse, che andrebbe comunque a premiare le parti più ricche e meglio organizzate.
La sottrazione del gettito fiscale alla redistribuzione su tutti i territori violerebbe poi il principio di solidarietà economica e sociale contenuto in Costituzione, andando a aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, con un conseguente crollo sociale ed economico dei territori più svantaggiati che potrebbe mettere facilmente in crisi l’intera Italia.
Infine, secondo quanto scritto dall’economista Paolo Balduzzi su Lavoce.info, al momento non esiste “un criterio oggettivo o tecnico che permetta di stabilire se una regione sia o meno in grado di fare meglio dello stato negli ambiti di competenze che saranno trasferiti. Appare pertanto imprescindibile, e prima di un qualunque ulteriore avanzamento legislativo, introdurre strumenti di misurazione oggettiva dei risultati storici delle varie regioni nelle diverse materie”.
Tasse
Se da una parte i favorevoli sostengono sia giusto trattenere sul territorio le tasse dei residenti, al fine di usarle per migliorare i servizi, dall’altra i contrari, come si legge su Domani, evidenziano che non sarebbe corretto dare alle regioni le tasse di chi risiede in un luogo ma matura reddito in altre regioni. Inoltre, come già sottolineato, non ci sono certezze o studi che possano dire con sicurezza che la frammentazione delle competenze migliorerà l’efficienza dei servizi. Quando invece potrebbe creare gravi problemi come nel caso della gestione della pandemia da Coronavirus in Lombardia.
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Sanità
Partendo proprio dalla regione amministrata da Attilio Fontana, è impossibile dimenticare la disastrosa gestione dell’emergenza a livello regionale autonomo, quando la Lombardia non è nemmeno riuscita a implementare un sistema efficace per la prenotazione dei vaccini. Problema risolto solo grazie all’uso del sistema nazionale di Poste Italiane.
Inoltre, con un sistema sanitario gestito a livello regionale, chi si trova temporaneamente in altre regioni potrebbe grandi difficoltà nel farsi prescrivere e acquistare le medicine di cui ha bisogno. Quindi già il sistema di prescrizione non potrebbe diventare di competenza esclusivamente regionale.
Infine, per Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, sul Quotidianosanità, l’autonomia differenziata darebbe il “colpo di grazia al sistema sanitario nazionale” aumentando “le diseguaglianze regionali e legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
Trasporti
Per quanto riguarda i trasporti chi è a favore dell’autonomia sostiene bene o male sempre la stessa cosa, cioè che le regioni con un maggior controllo sulle spese sarebbero più efficienti nel realizzare infrastrutture, individuare le necessità della cittadinanza, garantendo quindi maggiori servizi.
I contrari invece sottolineano come già i trasporti gestiti dagli enti locali siano quelli più al centro delle critiche dei cittadini per l’inefficienza. Inoltre, l’autonomia creerebbe problemi a quei centri urbani che si trovano in una regione, ma ruotano attorno a città situate in altre regioni. Come nel caso di Verona, che ha più legami con Milano, o di Terni e Grosseto che sono più legate a Roma.
Lavoro
Sul sistema di formazione e collocamento nel mondo del lavoro, fanno notare i critici, molte competenze sono già lasciate alle regioni, ma questo non ha portato a vantaggi o benefici, anzi, secondo molti il sistema di collocamento sarebbe particolarmente carente.
Istruzione
Su Repubblica, Luca Bianchi, il direttore del centro di ricerca Svimez sul divario regionale, ha criticato il disegno di legge di Calderoli sostenendo come l’autonomia colpirebbe gravemente il sistema scolastico con “un vero processo separatista” in cui si avrebbero “programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”.
Critica sostenuta anche dalla sociologa Chiara Saraceno sulla Stampa, secondo cui non sarebbe “possibile lasciare l’attuazione del compito costituzionale della scuola alle diverse disponibilità e scelte locali”, perché già ora “esiste una differenziazione ingiusta delle risorse educative pubbliche offerte sul territorio nazionale, non solo tra regioni, ma anche all’interno delle stesse regioni e città”. Differenze che “si sovrappongono alle diseguaglianze sociali e di contesto, invece di compensarle”.
Cos’è l’autonomia differenziata?
L’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.
Le materie legislazione concorrente comprendono i rapporti internazionali e con l’Unione europea, il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l’alimentazione, l’ordinamento sportivo, la protezione civile, il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la comunicazione, l’energia, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cultura e l’ambiente, le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
La concessione di “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario sono previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che sottolinea come possano essere attribuite “con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata”. Questo comma però non è mai stato stato attuato, soprattutto a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra regioni, che rendono particolarmente delicata, e potenzialmente dannosa, l’approvazione di leggi in questo senso.
Perché è importante l’attuazione dei LEP prima di dare seguito all’autonomia differenziata?
Uno dei punti più contestati della proposta di autonomia differenziata di Calderoli, infatti, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, conosciuti come Lep, che in base alla Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini. L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente.
Ma secondo il disegno di legge, che da al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep, distribuendo così i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia.
Ed è questo il punto al centro delle contestazioni, e che giustifica il termine di “secessione dei ricchi”, perché assicurerebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa. In questo modo, si accentuerebbero ancora di più le disuguaglianze tra i due poli del paese.